Afferra e smarrisce, come quando allunga la mano sotto un mobile per acciuffare una cosa, ma quella sfugge più lontano, quasi imprendibile; irraggiungibile, eppure è proprio qui. Così fa con la pelle: tocca, preme, sfiora, gratta, prova a estenuarla. Ma più si avvicina più quella dilegua in un’infinità di pori, allora non è più pelle, non è più la promessa della gioia, del godimento, dell’alcova, del calore. Deve rispettare la distanza mentre strofina, abbandonare quando si avvinghia. Perché oltre c’è nulla...
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