Dopo dare fuoco, prima!
Ce ne occuperemo per un po', ora qualche stimolo.
Freud ha avuto delle idee chiare: “i primi effetti del trauma sono degli sforzi per rimetterlo in atto” - è un’affermazione che può mettere di buon umore. Le idee chiare le ha spesso ripetute: “nella vita psichica esiste davvero una coazione a ripetere la quale si afferma anche a prescindere
dal principio di piacere, quel principio di piacere di cui non tiene alcun conto”.
Che prima possa provocare una risata, Freud lo scrive nel suo Motto di spirito: “Il medico è stato pregato di assistere la baronessa durante il parto. Egli dichiara però che il momento non è ancora venuto, e propone al barone di ingannare l’attesa nella stanza accanto con una partita a carte. Dopo qualche tempo giunge all’orecchio dei due uomini il grido di dolore della baronessa: “Ah mon Dieu, que je souffre!”. Il marito balza in piedi, ma il medico lo trattiene: “Non è niente, continuiamo a giocare”. Un po' di tempo ancora, ed ecco un nuovo grido della partoriente: “Mio Dio, mio Dio, che dolori!” - “Non vuole andare di là, professore?” domanda il barone. “No, no, non è ancora il momento”. Finalmente si ode venire dalla stanza contigua un inconfondibile “Ahi...ah!”. Allora il medico getta le carte sul tavolo e dice: “Ci siamo!”
Il sintomo lo si prende dall’aria! così si afferma, sul finire, Lacan - con una filastrocca, una canzonetta, un ritornello, che in francese suona così: “l’on l’a, l’on l’a de l’air, l’on l’aire, de l’on l’a” (lo si ha, lo si ha dall’aria, lo si incamera, da lo si ha).
Certo qui l’aria è lalingua, è lalangue che urta, che incide, che altera, che si urta, si incide, si altera…, certo qui l’aria è lo stile, una canzonetta-filastrocca, la canzonetta-filastrocca che può diventare questo urto – e forse in questa direzione va, e termina, un’analisi.
Prima c’è la ripetizione dell’urto de lalingua.
Si tratta, anche, di una cosa semplice, Lacan lo ha detto con chiarezza: “Non c’è fort senza da
e, se così possiamo dire, senza Dasein. Ma, per l’appunto, contrariamente a quanto tutta la fenomenologia della Daseinanalyse tenta di cogliere come il fondamento radicale dell’esistenza, non c’è Dasein
con il fort” - certo, questa affermazione così nitida, va messa in tensione con l’irriducibilità del fort-da su cui tante volte insiste Derrida. Ma, appunto, si tratta di bazzicare questo fort senza
da, questo fort prima e a prescindere dal da, questo fort
che si ripete come tale.
Ridere, è una bella parola – sembra non si possa ridere spesso (sempre), possiamo rammaricarcene, ma è così. C’è una frase di Lacan che può fare un po' ridere, la si può usare in contesti festosi, appunto per ridere – forse può far ridere come quella, più cinica, di Karl Kraus “un perverso è uno che desidera una scarpa ma si deve accontentare di una donna”. Quella di Lacan, per niente cinica, ma molto analitica, afferma: “si dà il caso che le donne parlino, possiamo rammaricarcene ma è così”. Può far ridere certo, ma tocca un punto che spesso fa anche molto piangere, patire, che insiste come un pungolo, come una saetta – forse ogni analizzante non parla che di questo, cioè del fatto che la femminilità, ossia quel che c’è di più prossimo alla ripetizione dell’evento di corpo che l’incidenza de lalingua è, parla, ossia si declina, dunque causa quel che ci capita – ecco allora la nostalgia e il sogno che la femminilità sia muta, silenziosa, misteriosa, altra, ecco cioè la speranza che la femminilità sia una rana “che giace lì, supina”.
Ecco allora la prossimità della femminilità con la buona sorte – tutto ciò che accade dipende solo dalla buona sorte, di tanto in tanto Lacan si lascia sfuggire questa frase. Si tratta di una buona frase per intercettare prima, frase che può facilmente declinarsi nel ridere e che al contempo è sempre sul punto di declinarsi come crollo, dissipazione, pianto, orrore.
Ecco che la faccenda è ancora quella di come accedere a una donna, cioè a questo prima… in questo modo prima si piega ancora verso ridere, se ridere è ridere della scartità
che si fa – ma se la scartità è semplice, fare la scartità lo è molto meno… e la scartità ride solo quando si scarta in modo assoluto, radicale.
Come è noto, quando Galileo Galilei, non uno qualsiasi, si rende conto che all’infinito i numeri dispari sono uguali ai numeri pari e dispari si arresta, indietreggia. Ma qui, quando ci si riferisce all’arrestarsi, non si fa riferimento ad un ipotetico coraggio, il quale permetterebbe di non indietreggiare – ognuno ha il suo tracciato, si fanno dei giri, molti, ad un certo punto capita di passare attraverso un foro, non ci si volta, così un balzo, così la buona sorte. Separarsi dal principio di piacere – in modo radicale. Marcel Duchamp ha avuto una buona idea – si è soliti riconoscerglielo
Il poeta Maori, Hone Tuwhare, ha scritto prima a modo proprio:
Smetti di frignare ruscello:
avanti pioggia grandine e diluvio
ridete ancora
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