Penso al prima, al precedere, alla precessione degli istanti: ergo penso – più o meno consapevolmente – anche al dopo, al seguire, al non-essere più del prima. Prima e dopo: assieme ma separati, colti da sempre (almeno in Occidente) entro una struttura binaria, dualista e logocentrica, per dirla con Derrida. In altri termini, andare (o lasciarsi andare) dal prima al dopo significa anche – forse – abbandonare il prima al suo destino: il dopo. Ogni volta che ciò accade, nella mente, si evidenzia questo disegno dell’1-2, questa struttura di esclusione: il prima non è il dopo – e viceversa – ma il prima senza il dopo non significa nulla. Un significare-nulla che non è privo di importanza. Del resto, un concetto di prima separato dal (o privato del) dopo, mi pare possa traslare, parzialmente, il significante “prima” verso un suo lato non-significante, una specie di terra di nessuno in cui “prima” appare finalmente come segno che gira “a vuoto”, preso da solo, autonomo: segno che non significa nulla, ma che in qualche modo… non è privo di senso...
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