Chiunque parli del fuoco, a meno che non si tratti di un artificiere o di un guardaboschi, parla in genere per metafora. E parlare per metafora significa quasi sempre parlare d’altro. Lo sanno bene i poeti e i folli, che se usano una metafora è sempre, immancabilmente, per nominare qualcosa, come si dice, alla lettera. Per questa stessa ragione, quando Lacan afferma che «il fuoco è il reale» (Lacan, Seminario XXIII, Lezione del 16 marzo 1976), non può non precisare subito che quello che brucia è una maschera del reale, cioè una cattiva metafora, mentre «il fuoco del reale è un fuoco freddo».
Una cattiva metafora prende sempre una cosa per un’altra, per esempio lucciole per lanterne, ma lo fa sapendo che le lucciole non sono lanterne; la cattiva metafora è un’accoppiata tra due cose che, per quanto possano sovrapporsi, intrecciarsi o penetrarsi, restano irrimediabilmente senza rapporto. Per usare le categorie di Peirce, la cattiva metafora è dell’ordine della Secondness, del Due o dell’Immaginario...
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