Na’ashé wenishmà, prima faremo, poi ascolteremo la legge: come dire, osservava già Levinas, che la legge si adempie prima di assumerla, prima di conoscerla e di riconoscerla come legge. La pratica precede l’adesione. La legge, la si esegue prima di udirla. Che cosa vuol dire? Possiamo, qui, evitare di seguire, nella sua logica interna, il modo in cui Levinas legge la domanda – e, con lui, il modo in cui essa segna il cuore dell’ebraismo. Ne interroghiamo uno dei possibili sensi, di questa obbedienza, questa osservanza della legge che precede la legge stessa. Prima della legge, dunque, la sua attuazione, l’esecuzione di essa? Le ragioni non mancherebbero: ché, in ultima istanza, l’unico modo per poter dire una legge tale, per poter affermare, di essa, che ha la capacità di obbligarmi, non è fare ciò che essa prescrive? Solo nell’osservarla, nel fatto di osservarla – o nel fatto di riconoscere di doverlo fare – la legge diviene ciò che è, “dimostra” il suo dover essere osservata. Per questo: prima l’esecuzione, ché senza di essa non c’è legge, ma mero flatus vocis. Un’altra serie di ragioni provano, però, il contrario: dal fatto di riconoscere di dovere qualcosa, non ne consegue in alcun modo che quel qualcosa sia dovuto. Se credo di doverti o mi sento obbligato a darti cento, e ti consegno quella somma di denaro, ciò non “dimostra” affatto che avessi il dovere di farlo. Il sentirsi obbligato o il riconoscere di esserlo sono semplici fatti, i quali attestano ciò che io credo, ciò che penso sia il mio dovere. Ma che tale dovere esista, obiettivamente, è altra questione...
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