Se un uomo chiaramente parla o agisce la gioia lo segue come un’orma che non lo abbandona Dhammapada I, 2
Qualunque cosa sia. Chiunque sia. Quell'uomo è insanguinato. E canta.
Non fa altro, se ne sta sotto la curva di laterizi, sotto lo scroscio di dicembre.
Ha una mano sulla testa, sta con una mano, sulla testa. È insanguinato non fa altro, canta sotto la nuvola che si sparpaglia, sotto un cielo che sa di piombo e letame.
È senza fissa dimora. Sembra Orfeo. È un immigrato. È un imprenditore. Un mussulmano. Mangia maiale. È un cristiano, è un ebreo mandato in croce un maledetto rottinculo un impiegato delle poste del comune al bar guida un pullman, cammina per strada. A volte lo vedi dorme scarabocchia sulla sabbia. Uccide, è ucciso. È un uomo ed è irraggiungibile.
E mi raggiunge non come suono, non come immagine. E mi raggiunge non come pensiero, non come idea. Non è, non sta non in negazioni non in affermazioni non in dubbi.
È insanguinato, canta non fa altro, se ne sta con la mano sulla testa, con una mano sulla testa.
Mentre il fegato. Mentre il cuore. Mentre il polmone. Mentre le stelle. Mentre dentro di lui tutto il movimento scava prende spazio, dirama le sue possibili luminosità di vita umana e disumana, eccolo.
È un incendio: arde.
Guardiamolo. Contempliamolo.
Diventiamolo.
* Il testo è inedito, scritto nel 2019
Tommaso Di Dio (1982), vive e lavora a Milano. È autore di alcune raccolte di poesie, fra cui Favole (Transeuropa, 2009), Tua e di tutti
(Pordenonelegge-Lietocolle, 2014) e Verso le stelle glaciali, Interlinea 2020. Si occupa di critica letteraria, filosofia e traduzione. In particolare, dal 2015 è membro del comitato scientifico del laboratorio di filosofia e cultura Mechrí ed è dal 2018 tra i curatori del progetto di poesia e arti visive Ultima. Per altre informazioni, si può consultare il personale: www.tommasodidio.it.
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