Per cominciare (male), dico subito che la mia linea di pensiero non coincide con quella di Rocco Ronchi. La sua linea detta “minore” è quella che, in modo molto sbrigativo, chiamerei Spinoza-Bergson-Deleuze, mentre io devo molto alla decostruzione e alla filosofia analitica. Ma ci occupiamo entrambi di una cosa, la soggettività, anche se io da psicoanalista sedotto dalla filosofia, e lui da filosofo sedotto dalla psicoanalisi. Eppure, con una certa sorpresa, noto che nel suo articolo “Prima persona” giunge a conclusioni che dal mio punto di vista, pur così distante, sono condivisibili.
La “prima persona” è il pronome io. Ma sia nel linguaggio comune che in quello filosofico per “io” possiamo intendere una quantità di cose, che possono essere omonime ma mai veramente sinonime. Questo risulta più confuso in italiano, che chiama “io” istanze che altre lingue distinguono. L’inglese ha “I” come pronome negli enunciati, “self” per dire ciò che noi chiamiamo “l’io”, ed “ego” per definire il punto di vista di uno qualsiasi. E così il francese, che usa “je” e “moi”. La frase di Rimbaud che Ronchi cita, “Je est un autre”, era una trasgressione, perché in francese si dice “je suis…” e mai “Je est”. D’altro canto, non ho mai incontrato una frase inglese con “the ‘I’”. (“I” si pronuncia come “eye”. Shakespeare ama giocare con questo)...
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