Immaginiamo che prima c’è la pulsione, che il Fort
senza Da, il Fort senza Dasein, sia la pulsione. Immaginiamo che dopo, questo dopo che è il Da, il Dasein, sia il fantasma. Cosa succede – chiede Lacan nel seminario XI senza che nessuno, al solito, gli risponda – dopo aver attraversato questo dopo? Cosa diventa colui o colei che passa attraverso l’esperienza del rapporto, opaco all’origine, col prima? Forse che torna indietro? Forse che prosegue ancora avanti? Oppure s’arresta?
Dopo il dopo non significa prima. Dopo il dopo, come prima del prima, significa sempre. Così, almeno, se si scommette sulla logica dell’evento. Prima e dopo, come alto e basso, lontano e vicino, bene e male, lo marcano stretto. Ma non significano, mostrano. Sono deittici, non significanti. Perché, allora, fare di ciò che indicano una cosa o uno stato? Perché metterli da qualche parte?
Quando Edward Cummings, nel ventinovesimo dei suoi Poems, varia sulla lingua inglese scrivendo “he danced his did” anziché “he did his dance” strappa le forme linguistiche corrette alla loro condizione di costanti. Cummings non scrive “he did his dance” per dire “egli ballò” ma “he danced his did”. Si può tradurre con “danzò il suo fatto”, “danzò il suo aver fatto” o, ancora, “fece danzare quel fatto che è”. In una parola: si soddisfò. Succede nei momenti in cui si è così felici che vien voglia di morire. Non per viltà, ma per ringraziare direttamente Dio. E succede in modo imprevisto.
Franco Lolli non ha scritto un libro che si intitola “Vivere la pulsione. Saggio sulla soddisfazione in psicoanalisi”. Ma ha librato il suo scritto: lo ha ponderato, non premeditato. A me è capitato di mangiarlo e di arrivare fino alla fine, fino a quella fine che è l’inizio. Senza volerlo. Come per caso.
Immaginiamo Čechov
in un salotto di cicogne, che dice, con un gesto esplicativo: «e così nacque l’anguilla». Nel momento della trascrizione, come nell’attimo fisico delle parole, credo che il sentimento venga soffocato: qualsiasi processo è una sosta. Insomma, sono poco chiara: mentre dico “ti comprendo”, io sono freddissima. Soltanto nel silenzio, prima o dopo l’espressione, posso vibrare. Ho scritto “dopo”; è vero? Ma la manifestazione non può essere distruzione
Anna Cavalletti
|